Testimonianze - Elena Sarati

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Testimonianze

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Total Lean Transformation, trasformazione digitale, Smart factory 4.0: che ruolo può assumere la formazione nei processi di cambiamento che investono il mondo della produzione?
Ne parliamo con Stefano Gelsomini, COO di Pasubio S.P.A., al momento dell'intervista Direttore Operations della sede di Mirandola di Sorin Livanova, con il quale abbiamo lavorato proprio sullo sviluppo dei ruoli in produzione e che della formazione è convinto sostenitore.


INTERVISTA A STEFANO GELSOMINI (1)

a cura di Elena Sarati (2)


Stefano, raccontaci di Te: il tuo percorso, la tua visione.

Il mio percorso parte da una situazione famigliare particolare: sono il primo di cinque figli e, quando mi sono iscritto all’Università, al primo anno di ingegneria, l’azienda di mio padre è fallita. Dopo sei mesi ho dunque dovuto interrompere e, nel giro di una settimana, sono andato a lavorare.
Da perito meccanico sono entrato in una azienda dove facevo progettazione. Poi ho iniziato a guardarmi intorno: il lavoro di progettista lo si fa molto con il proprio CAD e io ho poi capito – più avanti, allora non mi era ancora chiaro – che avevo bisogno di relazioni umane. A questo punto mi hanno proposto un ruolo fuori da R&D, in produzione (a quel tempo c’era ancora l’approccio “tempi e  metodi”). Ho accettato e questa è stata la prima svolta: nel giro di un anno sono diventato responsabile di un team di otto persone.
Nel 2000 l’azienda viene acquisita da una multinazionale americana e qui si apre la prospettiva Lean Six Sigma. Un’altra svolta: capii che quel modello organizzativo, completamente diverso, poteva funzionare, e infatti è stata la chiave del successo. Nel giro di tre anni sono diventato responsabile di stabilimento, dove l’obiettivo era introdurre un modello diverso, convincere le persone che si poteva fare, e naturalmente portare risultati.
Il grande bivio è poi stato entrare in Sorin, nel 2010. A 42 anni dovevo cambiare tipologia di business (prima mi occupavo di sistemi di sicurezza, serrature, porte blindate, etc.) e partire da zero con la lean: Sorin era infatti ancora una realtà artigianale e c’era da fare tutto. In sette anni abbiamo trasformato un contesto semi-artigianale in una struttura che oggi, quando ci vengono a trovare, stupisce chiunque. Colpisce per il modello estremamente avanzato di organizzazione e per il fatto che questo cambiamento è avvenuto in una realtà, come il biomedicale, tradizionalmente piuttosto chiusa.
Adesso mi attende una nuova sfida, ancora in un’area merceologica diversa.
Credo che quello che ha sempre fatto la differenza siano state la mia determinazione e la capacità di “collegarmi” con le persone rapidamente: queste sono caratteristiche che mi hanno consentito di andare avanti velocemente. Mi sento un manager “umano”, consapevole di dover fare a volte anche scelte difficili, ma per il bene di tutta l’azienda e delle persone che ci lavorano.


Sei stato un convinto sostenitore della “Total Lean Transformation”. Cosa significa “essere snelli”?

L’aspetto cruciale consiste in un cambiamento di “occhi”, come se ci mettessimo un paio di occhiali diversi, perché le persone sono assuefatte a un modello di organizzazione in cui sono da sempre abituate ad operare. Nella lean ci sono otto sprechi: è fondamentale, appunto, “vedere” gli otto sprechi, dov’è il valore e dove non c’è, e attaccarli continuamente. Lo slogan è: “Basta un millimetro al giorno per mille persone tutti i giorni”: questa è la chiave del miglioramento continuo.
La lean parte dalla soddisfazione del cliente: 1) il livello di servizio (ho il prodotto quando mi serve); 2) il costo (ho il prodotto al prezzo giusto); 3) la qualità (che deve essere la migliore possibile). Questo con la lean si può fare, ma bisogna cominciare dal vedere (e sottolineo ancora il tema del “vedere”) gli sprechi.


Quali sono i riscontri innanzitutto in termini di redditività? E quali altri effetti ha avuto – anche come impatti sull’organizzazione (non solo sulla produzione) – aver assunto questa ottica?

Redditività: “drammaticamente” per Mirandola abbiamo ridotto i costi del 3% anno dopo anno e l’inventory del 40%.
L’impatto sull’organizzazione: è stato un percorso molto strutturato e pensato. Sono cambiati il 60% dei primi livelli nei primi due anni: c’è stato un change management vero e proprio, strutturato. E poi sono stati assunti giovani talenti, cercando un mix di persone in parte con esperienza interna, in parte esterni, non provenienti dall’ambiente biomedicale (fatto salvo un profilo molto tecnico), come elementi di rottura. Un equilibrio fondamentale, con una forte focalizzazione sulle soft skill per integrare le persone all’interno di una visione comune.


Hai creduto molto, tanto da farti forte sponsor e spendere il tuo commitment, nella formazione – di questo sono testimone. Quale ruolo ha svolto e svolge secondo te la formazione in una logica di forte sviluppo in produzione (e organizzativo in generale)?

Non puoi immaginare quanto io creda nella formazione. Sia tecnica (come i principi Six Sigma, e logiche matematiche meno intuitive di alcuni aspetti della lean), sia “soft”. Ho fatto subito fare una mappatura di tutti i Supervisor e Capi Turno in cui venivano messe in luce le competenze “soft”. C’è un limite infatti in molte aziende tradizionali: dare per scontato il passaggio da ruolo operativo a ruolo di leadership (sei un bravo operatore e quindi sarai anche un bravo capo-turno). Questo passaggio invece richiede capacità specifiche e su questo ho voluto si lavorasse.
Un altro aspetto centrale è richiamato dalla “piramide rovesciata”: la parte più importante – e come sai l’ho sempre detto – sono gli operatori e quindi i Capi Turno, e poi a salire i Supervisor e i Product Manager fino ai vertici. Ma l’anello di congiunzione fondamentale sono Supervisor e Capi Turno, i quali hanno ruoli strategici e devono possedere competenze “soft”, di comunicazione, di gestione, eccellenti.
Nel 2017 abbiamo raggiunto un livello di engagement elevatissimo, che è anche il risultato di questo lavoro: su 14 stabilimenti questo di Mirandola è quello con il livello più elevato. E tutto ciò perché siamo partiti dalla formazione, dall’importanza di saper comunicare, coinvolgere, motivare, creando comportamenti e relazioni costruttive.
Tutte le aziende fanno formazione, ma troppo spesso è un rituale, quasi un momento di sospensione dall’attività lavorativa, una piacevole pausa. Credere nella formazione significa che prima di tutto ci deve credere il vertice – io ci devo credere – e deve credere nel valore che ha per l’azienda. Uso sempre questo esempio: se domani non c’è più una persona qui dentro, non produciamo più nulla, neanche con i macchinari migliori. Il fattore umano è fondamentale: se poi andiamo a vedere gli otto sprechi della lean, l’ottavo è proprio il capitale umano non impiegato al meglio, il che succede troppo spesso nelle aziende. Dunque valorizzare le persone, capirne punti di forza e aree di miglioramento, è fondamentale. Un’organizzazione funziona bene se si lavora costantemente sul miglioramento e se ciascuno ricopre il ruolo giusto per le sue caratteristiche.


La trasformazione digitale del comparto industriale è forse il più importante cambiamento in atto nello scenario economico globale – anche in Italia, nel 2016, è stato definito un Piano Nazionale Industria 4.0 – tanto da parlare di “Quarta rivoluzione industriale”.
Quali sono le opportunità secondo te? E quale rilevanza assume il “fattore umano”, in questo scenario?

Noi abbiamo in due anni investito 10 milioni di euro sul 4.0. Mi sono trovato davanti a un bivio a una certo punto: si voleva portare una parte dello stabilimento in Romania. Ho lanciato allora un controprogetto “Factory 4.0” che eliminava il nodo low cost country. Li ho convinti: il plant non è stato dimezzato e i costi si sono talmente abbassati che stiamo facendo insourcing. Se il 4.0 è fatto bene, la riduzione di costi può addirittura consentire un ampliamento delle risorse.
In questo scenario la parte complessa è la gestione delle competenze delle persone: i lavori più semplici, manuali, andranno a scomparire. La tendenza va verso l’alto, e questo andrà certamente gestito. Ma se la questione è “diminuiranno i posti?”, la mia risposta è no. Anche solo prendendo questo plant (Mirandola, ndr), l’occupazione è stabile e, ripeto, oggi facciamo insourcing. Naturalmente, tutto ciò bisogna saperlo fare, creare una cultura, e… avere un progetto (qui c’è un progetto quinquennale di smart factory 4.0)!



(1) Al momento dell’intervista – effettuata il 22 marzo 2018 – Direttore Operations per la sede di Mirandola di Sorin-Livanova, oggi COO di Pasubio S.p.A.
(2) Amministratore di Trilix Srl.  

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